Se la meditazione fosse uno sport, sarebbe il tiro a segno

Niccolò Campriani, a 33 anni già leggenda del tiro a segno sportivo, con tre medaglie d’oro e una d’argento ai Giochi (Pechino, Londra e Rio): uno degli atleti più vincenti nella storia dello sport.

Con la sua autobiografia “Ricordati di dimenticare la paura”, racconta la nobiltà del tiro accademico e come è cresciuto grazie a esso. Oggi spiega come il suo sport va conosciuto, prima di parlarne, prima di avanzare ipotesi di insegnarlo a scuola.

Ho speso 16 anni della mia vita a fare il tiro a segno ad alto livello, sviluppando sia la parte mentale che quella tecnica di questo sport e scoprendo me stesso“.

“Mi ritengo un conoscitore della materia e proprio per questo mi fa effetto vedere la superficialità con cui viene trattata”.

“Mi fa paura e mi viene naturale chiedermi: su tanti altri importanti temi che dominano il dibattito pubblico e di cui non sono un esperto, come ragiona la politica? Sull’intelligenza artificiale, ad esempio”.    

Si rischia di equiparare, agli occhi dei ragazzi, il tiro sportivo olimpico – com’è ad esempio quello con le pistole e la carabina ad aria compressa – con i fucili d’assalto stile Rambo”.

“Fucili d’assalto che vediamo purtroppo nei mass shooting negli Stati Uniti. Mescolare le due cose non permette di fare un dibattito sensato”.

“Ho fatto tiro sportivo olimpico – prosegue – ed è stato lo strumento per un lavoro di introspezione che è stato parte integrante della mia formazione, soprattutto in età adolescenziale.

“Definire cos’è il successo e cos’è la sconfitta è stata un’occasione unica. Se la meditazione fosse uno sport sarebbe sarebbe il tiro a segno”.

Ma, aggiunge, appunto, nella mia gioventù lo sport non sostituiva la scuola, perché per me i due concetti, sport e scuola, non potevano che essere legati”.

E, se proprio vogliamo parlare del tiro in quanto insegnamento,  ricordo il progetto che ho portato avanti con due rifugiati, Mahdi e Luna, lui afgano, lei eritrea.

A marzo del 2019 abbiamo organizzato un incontro con 10 rifugiati. Nessuno conosceva il tiro a segno, né si conoscevano fra loro. E’ stato il giorno più bello della mia vita”.

“Ho selezionato (in un bar) Luna e Mahdi in fuga dai loro paesi in guerra e li ho portati fino alle Olimpiadi. Avevo più ansia di quando sparavo io”.

Inizia così il cammino verso Tokyo e Niccolò si butta a capofitto in un’impresa che sembra disperata: portare qualcuno di questi ragazzi ad ottenere in pochissimo tempo un minimo di prestazione sufficiente a renderli ‘eleggibili’ per i Giochi.  

Luna, nel frattempo – proprio durante la preparazione per le Olimpiadi diventa mamma. Il rinvìo al 2021 causa pandemìa le permette di tornare ad allenarsi, e alla fine viene nominata tra i 29 atleti del team dei rifugiati.

Secondo Campriani “il dibattito attuale che si è scatenato attorno alla presunta proposta del senatore Fazzolari si è subito incentrato sulle armi”.

“È sbagliata la prospettiva: bisognava partire dall’importanza di integrare il curriculum scolastico con attività che sviluppano intelligenza emotiva, e il tiro sportivo, così come tante altre attività, può farlo”.

Si è finiti a parlare di armi a scuola, conclude il campione olimpico, quando invece è da troppi anni che si rimanda la discussione su come combinare percorso accademico e attività sportiva.

“Così però, si forza la stragrande maggioranza di ragazzi in giovane età a scegliere tra diventare campioni olimpici o in alternativa ingegneri o architetti” conclude Campriani.

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