Strazzari: diplomazie unite contro l’ISIS

Dopo Parigi come cambia la geografia del terrorismo e dei conflitti. Intervista a Francesco Strazzari, docente di relazioni internazionali presso il Consorzio ricerca terrorismo e crimine organizzato di Oslo. 

Chi finanzia l’Isis?

Domanda molto importante. Ha goduto di una serie di complicità provenienti in buona parte dalla penisola arabica: fondi privati, forse anche meno privati, diciamo, ma oggi è sostanzialmente finanziato dalla capacità di farsi forte dell’economia dei territori che controlla, e dunque un’ estrazione dal territorio attraverso il taglieggiamento, attraverso la vendita di contrabbando soprattutto di petrolio, e donazioni che continuano ad arrivare attraverso degli schermi bancari, non è chiaro fino a che punto tutto questo sia necessario, nel senso se ci siano delle volontà e delle collusioni è qualcosa che rimane un punto interrogativo.

Il ruolo dell’Europa quanto è centrale rispetto allo scenario siriano? 
L’Europa è presente soprattutto con le sue potenze principali, la Francia e la Gran Bretagna, in parte la Germania. L’Italia è in una posizione un po’ più defilata, senza mai utilizzare la parola guerra e impegnata su azioni di appoggio soprattutto dei peshmerga curdi e della ricognizione aerea, ma non in un ingaggio diretto nei combattimenti. L’Europa è importante in quanto è dall’Europa che promanano le linee di colonizzazione di questa parte di mondo ed è l’Europa che ha tracciato i confini che oggi vengono abbattuti da questa sfida armata. E’ necessario che l’Europa si raccordi e sia unita. Lo Stato Islamico ha messo in conto i bombardamenti, sa rispondere ai bombardamenti; quello che non ha messo in conto è l’unità di chi lo attacca. Lo Stato Islamico prospera nella disunità e nelle divisioni, è una sorta di parassita che riesce a crescere laddove c’è disarmonia nella comunità internazionale. Se Russia, Stati Uniti e Europa mantengono un allineamento, probabilmente farà fatica a porre rimedio alla propria difficoltà sul teatro di guerra.

Se dovesse fare un pronostico per i prossimi anni?      
La guerra in Siria non dà segno di potersi arrestare presto, soprattutto perché da parte di chi sta intervenendo non emerge l’idea di quella che potrebbe essere la Siria di domani. Questo ci rende impossibile misurare se una determinata azione diplomatica o militare sarà coronata da successo o meno, non sappiamo rispetto a cosa valutare la positività. D’altra parte, finchè continuano ad affluire armi, la guerra continua a bruciare e a consumare. C’è da sperare che attorno al tavolo della diplomazia davanti a un nemico estremo e ripugnante quale lo Stato Islamico si può per lo meno tracciare un minimo comun denominatore, cioè si possa arginare l’incendio e si possa arrivare a dei cessate il fuoco, e a partire dai cessate il fuoco si possa ricostruire il filo del dialogo che la guerra, lo scontro settario a ispirazione anche religiosa ha scavato fino a oggi.

L’ultima domanda: chi paga il riscatto degli ostaggi, secondo lei?​
Il riscatto degli ostaggi è una delle questioni più dibattute su cui si giocano anche alcune ipocrisie per altro comprensibili, perché nel momento in cui sono in gioco grandi interessi e grandi valori nonché la vita delle persone, la sicurezza impone che non si sveli fino in fondo. Mi spiego: nel momento in cui si venisse a svelare il prezzo degli ostaggi e chi lo ha pagato, si crea un meccanismo di emulazione che potrebbe propagarsi all’infinito; dunque si tratta di mediazioni e trattative estremamente delicate che talvolta non avvengono nemmeno, per cui disvelare tutto questo ai media e propagarne la notizia significa incentivare un mercato che nessuno ha interesse a che continui.

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