“Hanno fatto saltare due auto di Sigfrido, proprio di famiglia. Davanti casa sua. Lui era a casa, le auto distrutte ma nessuno si è fatto male“. Leggo sconvolta il messaggio sul cellulare attorno alla mezzanotte del 16 ottobre, corredato da video e foto inequivocabili, mandatomi da una chat di giornalisti di cui faccio parte.
Sigfrido Ranucci, con la sua trasmissione Report ereditata da Milena Gabanelli, incarna il vero spirito della tv di Stato: il servizio pubblico. Servizio pubblico in cui crediamo pagando tutti un canone annuale, affinché ci venga garantita un’informazione corretta e completa.
Dell’attentato ne parla anche tutta la stampa internazionale: dal New York Times a Le Monde, da Rtve alla Tass. Per Reporter sans Frontiéres l’Italia è al 49mo posto nel mondo in termini di libertà di stampa e chi indaga sul crimine organizzato e corruzione è sistematicamente minacciato per il suo lavoro investigativo.
Sigfrido ha la mia stessa età: lo conosco da quando, nei primi anni 2000 (precaria nella Rainews 24 diretta dal compianto Roberto Morrione) con lui, Riccardo, Elisa, Silvana, Arcangelo, Alessandro, Chiara, Pompeo, Luciano, Laura, Giuseppe e Tiziana seguivamo la produzione “106 ore” di RAI International.
Produzione televisiva annuale dedicata all’informazione e alla finanza, composta da un appuntamento quotidiano di 15 minuti chiamato “Oggi Italia”, parte integrante dei programmi di RAI International trasmessi per gli italiani all’estero.
Qui, io facevo i miei primi servizi da inviata, in un clima solidale e creativo grazie alla professionalità di Elisa Marincola, l’ironia di Sigfrido e l’entusiasmo di Alessandro Baracchini.
Rispetto al settimanale da cui venivo (L’Espresso, ndr), quel ritmo di lavoro televisivo era serrato ma stimolante: era il primo canale digitale della Rai, tutto da inventare. Poi Sigfrido prese un’altra strada: fu inviato per Rainews nei Balcani, a New York per gli attentati alle torri, poi in Iraq e a Sumatra.
Oggi conduce una delle poche trasmissioni fedeli sia alla mission RAI che all’art. 21 della Costituzione Italiana. Eppure, minacce di chiusura e intimidazioni nei confronti della libertà di espressione: questo ha ottenuto Sigfrido nelle più di 240 querele e richieste di risarcimento danni ricevuti.
Politici che ufficialmente esprimono solidarietà e sdegno per l’attentato a suo danno, ma che – nei fatti – lo citano in giudizio. Al clima ostile (taglio puntate, richiami, minacce di togliere la manleva per la tutela legale, procedimenti disciplinari, etc) lui è abituato. Ma ora si è alzato troppo il tiro.
Di fronte alla notizia dell’attentato paiono tutti contriti, anche chi lo ha spesso e volentieri insultato: Marco Travaglio chiede pubblicamente di evitare questa “fiera dell’ ipocrisia in chi contribuisce a far considerare – nella sensibilità collettiva e nell’opinione pubblica – quel tipo di giornalismo come deviato, strano, bizzarro.”
A volte è troppo comodo condannare la bomba, ma il salto di qualità sarebbe approvare il disegno di legge a tutela della libertà di stampa che è in un cassetto. Sulle liti temerarie, il pensiero di Sigfrido va a quei giovani colleghi di provincia che non hanno alle spalle una grande azienda e che rischiano in proprio.
La lista è lunga: uno su tutti il 26 enne Giancarlo Siani, ucciso dalla Camorra in un agguato per aver fatto il suo lavoro da giornalista precario nella sua Torre Annunziata. “Nessuna bomba fermerà Report e la sua squadra“, dice in radio Milena Gabanelli: motivo per cui sono orgogliosa della mia scelta lavorativa, anche se in ambiti diversi.
Dare il proprio contributo giornalistico alla terra in cui si è nati e/o si vive è un diritto/dovere che si esercita con fierezza e soddisfazione, quando serve per provare a cambiare le cose. Ma se lo status quo è funzionale ad un sistema virale di malaffare e criminalità – anche in alte sfere – ecco solo censura, repressione e violenza.
Roberto Saviano afferma che “Quando il dibattito pubblico diventa un linciaggio sociale permanente, quando la politica si sente autorizzata a colpire la stampa, la democrazia non è in pericolo: è già stata violata. Anni di delegittimazione, di campagne mediatiche costruite per isolare, distruggere civilmente chi osa indagare il potere“.
Un chilo di esplosivo senza il timer, con la miccia attivata da una persona lì vicina: si deve essere molto pratici per fare tutto questo… Il pomeriggio seguente, a Teulada, Sigfrido in lacrime per aver visto coinvolta la sua famiglia, noi increduli, incazzati e commossi al contempo. Tangibile la vicinanza delle Forze dell’Ordine, per obiettivi e sorti comuni.
Sigfrido era tornato da 10 minuti, lontano da casa da 10 giorni, la figlia Michela da mezz’ora. Il figlio Emanuele, a gennaio, disse che “la paura è inevitabile, quando vivi per decenni sotto scorta, quando hai 7 anni e ci sono i proiettili nella cassetta della posta di casa, quando vai al ristorante e ti consigliano di cambiare aria.”
Presentando il suo ultimo libro ‘La scelta‘ (Bompiani) ci raccontò che – anni fa – una chiamata di suo figlio lo distolse da pensieri cupi, in un momento professionale non facile. E oggi, alle 5 e un quarto, è arrivato l’ennesimo atto di citazione a suo carico, a firma di ministri in carica e loro familiari. Intanto, fuori casa, “Siamo orgogliosi di essere tuoi vicini“, gridano gli abitanti del suo comprensorio vicino Pomezia.
Legalità e giustizia sociale, questi i valori del suo pubblico che lo stima e lo ringrazia per aver rischiato in prima persona per difenderli, da sempre. Non risparmiando nessuno, né a destra né a sinistra, forte di una redazione di colleghi per bene e coraggiosi. Continua così, Sigfrido, dando senso alla nostra professione.






