E’ una bella giornata di sole quella di oggi, in cui l’Associazione Nazionale de Libero Pensiero, l’Uaar e tanti studiosi – come ogni anno- si dànno appuntamento sotto la statua di Giordano Bruno.
Giordano Bruno Impara a leggere e a scrivere da un prete nolano e prosegue gli studi superiori, dal 1562 al 1565, nell’Università di Napoli per apprendere lettere, logica e dialettica.
Si rifiuta fino all’ultimo di abiurare i principi fondamentali delle sue teorie espresse nei suoi innumerevoli scritti, dalla “Cena de le ceneri” al “De la causa, principio et uno”, da “De l’infinito, universo e mondi” fino al “De Magia”.
‘Mago’ è un termine che si presta a equivoche interpretazioni, ma che per l’autore, come egli stesso chiarisce sin dall’ìncipit dell’opera, significa innanzitutto sapiente: sapienti come per esempio erano i magi dello zoroastrismo o simili depositari della conoscenza presso altre culture del passato.
La magia di cui Bruno si occupa non è pertanto quella associata alla superstizione o alla stregoneria, bensì quella che vuole incrementare il sapere e agire conseguentemente.
Il filosofo sostiene che l’universo è infinito, dotato di “intelligenza”, pieno di sistemi solari e forse anche di altre forme di vita, e che non è stato creato da Dio, pur essendone una manifestazione diretta e immediata.
Bruno nega anche l’immortalità dell’anima e sposa le teorie copernicane sul moto della Terra. Tutto ciò è rivoluzionario, ardito e – in una parola – ‘eretico’, per quell’epoca oscurantista.
L’8 febbraio, al giudice che gli legge la sentenza di morte, risponde: “Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla”.
Il 17 febbraio del 1600 a Roma, in Campo de’ Fiori, il filosofo e frate domenicano Giordano Bruno è arso vivo sul rogo. È la pena che la Santa Inquisizione infligge agli eretici.